Il torneo di Aghijon

Durante l’estate del 1259, dopo un trentennio di scontri sanguinosi, Édouard della stirpe di Vultur condusse verso l’ultima battaglia le migliaia di spade che aveva raccolto intorno al suo stendardo. Al suo seguito marciavano i soldati fedeli agli emblemi delle quattro grandi case di Cheemon: Amberville, Aubert, Lefevre e LeClercq. Fu così che innanzi alle porte di Gundobad, nella celebre battaglia delle Due Corone, la dinastia di Vultur ascese nel sangue al Trono di Alabastro.

Il lungo viaggio da Northgar era culminato in una festosa baraonda, almeno così andava pensando Theodor mentre si aggirava con i propri compagni tra il colorato mercato di Plateau de Saclay.

Sembrava che il grande torneo in occasione dell’incoronazione di Cristòph III d’Amberville avesse richiamato i nobili di tutto il regno, insieme al loro numeroso seguito di cortigiani e servitori. Certamente non vi era spazio a sufficienza perchè tutti alloggiassero entro le mura di Castello Vecchio, l’antico maniero che sorgeva arroccato sopra un’isolotto al centro grande fiume Evier, unico guado per oltre settanta leghe dai ponti settentrionali di Aghijon. Fortunatamente però il Plateau de Saclay era così ampio da accogliere tutti gli smisurati tendoni colorati e i loro numerosi occupanti.

David Lemattant e il pingue Garcia non la pensavano allo stesso modo, e a loro dire avevano faticato non poco per condurre il carro su per il sentiero del Plateau, in cerca di un luogo dove montare la tenda di Gwyn Turtle, tuttavia queste mondane preoccupazioni sparivano innanzi alla vista delle bandiere appartenenti alle più nobili e antiche case di Cheemon che garrivano alla leggera brezza estiva.

Narth procedeva in testa alla fila, aprendosi un varco tra la calca con la possente voce e con poderose gomitate. Dopo che Falstaff aveva reso nota la sua decisione di farsi disarcionare davanti a tutti i nobili del reame partecipando alla celebre Giostra dei Cavalieri, l’umore del nano era nettamente peggiorato, immaginando già in quali guai li avrebbe cacciati il loro audace quanto irragionevole compagno.

Il piccolo Constantin, eternamente vegliato dal gruppo, divorava con gli occhi ogni dettaglio di quel fantastico alternarsi di servitori e cavalieri, di lance e uomini d’arme. Poco alle spalle procedeva Crosis, avvolto nelle sue vesti rosso brune, al fianco di Telhema, lo stregone appartenente ai maghi-veste blu giunto insieme a Crovont, il quale, taciturno come sempre, era sprofondato nella lettura di un voluminoso tomo, avanzando alle spalle del gruppo senza staccare gli occhi un istante dalle sue letture.

Dopo aver girovagato senza meta per un pò, seguendo i colori delle bandiere e gli squilli delle trombe, la Compagnia decise di acquistare degli abiti consoni al Ballo d’Apertura di Castello Vecchio, che avrebbe ufficialmente dato inizio alle giornate del Torneo. Mentre il gruppo si recava alle porte del Castello però, Crosis ebbe modo di notare un sinistro cavaliere che si aggirava nei pressi dell’Arena di Goubille, evitato da coloro che incrociavano il suo passo. Così grande fu la sua sorpresa nel constatare che si trattava di un elfo, dal viso tatuato e dai penetranti occhi verdi, che Crosis decise di interrogare personalmente l’inquietante cavaliere. L’elfo ghignò di rimando, rispondendo enigmaticamente che non a lui, ma a Thork Borogar andava chiesta udienza. Temendo di tardare al Ballo d’Apertura, Crosis si congedò, ripromettendosi di indagare su quanto aveva udito.

Il Ballo d’Apertura non era certo un’ambiente nel quale la Compagnia si poteva trovare a suo agio. Nobili, cavalieri e dame del regno si incontravano qui per omaggiare il nuovo Re, ma durante la serata Lord Didier Quinsonn si lasciò sfuggire che non tutti i presenti nella sala avevano combattuto dalla stessa parte durante la guerra, pur prestando giuramento di fedeltà alla casa di Vultur quando il Re Stregone fu sconfitto; le antiche ostilità covate per anni non si dimenticavano facilmente, ed il tetro Gelion Vark interpretò come un affronto anche solo l’accenno all’argomento.

Mentre Falstaff dichiarava che avrebbe combattuto per l’onore della bella Sabishi, Maestra degli Usurai, suscitando l’ilarità di un intero crocchio di cortigiani, Crosis notò che all’esterno, nell’oscurità che avvolgeva la Torre Esagonale di Castello Vecchio, un’ombra si calava dal terzo piano dell’antico maniero, con l’aiuto di una corda. Dato immediatamente l’allarme, Crosis si gettò all’inseguimento seguito da un’insolitamente goffo Falstaff, mentre Crovont e Telhema cercavano invano di ricorrere ai propri sortilegi per fermare l’intruso.

Dopo un breve inseguimento, il fuggitivo, circondato sugli spalti di Castello Vecchio, scelse di gettarsi dalle mura anzichè arrendersi, affrontando una caduta di oltre venti metri, prima di schiantarsi tra le vorticose acque del fiume Evier. La caduta era certamente mortale, ed il Capitano delle Guardie di Castello Vecchio ordinò subito ai suoi armigeri di cercare il corpo, nella speranza che si fosse arenato tra gli scogli alla base dell’isola. Nonostante Crosis si fosse unito alle ricerche però, il corpo dell’intruso non venne trovato.

Nel frattempo il resto della Compagnia ebbe modo di incontrare Émile Dernier, uno dei tre Signori della Legge, i cui alloggi erano stati bersaglio dell’intruso. Dopo una breve conversazione, il vegliardo acconsentì che la Compagnia accedesse alle sue stanze, sotto lo sguardo attento di una coppia di soldati. Crovont e Telhema si accinsero ad esaminare la porta e gli scaffali, ingombri di svariati volumi polverosi e trattati di storia e religione, mentre Narth rilevava che la corda, legata al mastodontico letto a baldacchino, dava l’idea che l’intruso fosse penetrato dalla porta. Theodor, ricorrendo all’ispirazione divina, rinvenne sotto il cuscino un misterioso messaggio sigillato, il cui enigmatico contenuto era indubbiamente rivolto al Signore della Legge.

Mentre l’ora si faceva tarda, la Compagnia lasciò Castello Vecchio diretta alla tenda di Benjamin Tuller, attendente di Émile Dernier. In tutti era forte il sospetto che gli accadimenti della serata appena trascorsa facessero parte di un sinistro corso di eventi, anche se pochi avrebbero immaginato che lo stesso Trono di Alabastro ne sarebbe stato presto travolto.