La Legione dei Morti

Una leggenda antica, custodita dal popolo che dimora sotto la montagna, narra della Legione dei Morti, uomini deprivati eternamente della pace e condannati a rispettare il giuramento che la propria stirpe tradì in vita. Rancorosi sono sempre stati i Re di pietra, tuttavia persino il Nano più ostinato non potrà che provare compassione per il destino toccato in sorte ai discendenti degli uomini.

Poco prima che scoccasse l’ora della partenza, Manatea e Andrey fecero ingresso nel salone dove i propri compagni si stavano preparando: evidentemente, anche loro erano sopravvissuti all’aggressione degli orchi, e i Nani li avevano condotti dai loro compagni, sebbene non potessero interpretare il dialetto dei due avventurieri. Pochi Nani infatti intendevano il linguaggio comune o si erano dati pena di apprenderlo, ed era una vera fortuna che il loro sire avesse scelto di perseguire la tradizione, che voleva il capostipite dei clan di Uthgard in grado di comunicare nel dialetto degli uomini sin dalla costruzione della fortezza.

Messi al corrente degli avvenimenti, gli avventurieri si prepararono a partire, non prima che Kiran rivelasse ai suoi compagni ciò che sapeva sul bastone magico posseduto da Czigo, da sempre oggetto di estremo interesse per i Maghi della Corona della lontana Gundobad. Gli avventurieri decisero tuttavia di non modificare i loro intenti originari, e di recarsi direttamente oltre le Sale del Silenzio. Con un po’ di fortuna, era possibile che giungessero a destinazione prima dei loro nemici.

Alla soglia del robusto portale, sorvegliato costantemente da più di una dozzina di Nani chiusi in robuste corazze di maglia, gli avventurieri incontrarono Boldar Barbarossa, il cui umore sembrava ancora più cupo. Egli non disse come si era salvato dall’orda di orchi, alla quale non avrebbe mai lasciato uno dei viaggiatori, per quanto moribondo potesse essere, ma mise nella mano di Dakkar un monile che il guerriero riconobbe immediatamente: si trattava di un piccolo lupo intagliato nel legno, un talismano che suo fratello aveva ricavato da un piccolo ramoscello e dal quale in vita non si era mai separato.

La marcia nell’oscurità aveva avuto inizio, e Manatea illuminò le tetre sale deserte di Uthgard con la propria lanterna. I minuti si trasformarono in ore, mentre percorrevano le contorte Sale del Silenzio dell’immensa cittadella, abbandonate e mute. Tuttavia d’un tratto Boldar Barbarossa si fermò, ed il sangue di Chandra si raggelò all’improvviso. La mente della sciamana venne aggredita brutalmente da una creatura arcana, che la condannò alla morte per aver violato la terra degli Xothtalanchi. Impossibilitata a difendersi, Chandra era nelle mani del suo spettrale carnefice, ma Kiran, avvertito in tempo, spezzò l’incantesimo che la imprigionava.

Nel frattempo il gruppo venne aggredito da ogni parte da una schiera spaventosa di non morti, ghoul dalla pelle resa grigia e dalle zanne affilate, che recavano in fagotti sulla propria schiena i resti dei macabri pasti che avevano consumato nel buio, ossa rosicchiate e teschi delle loro vittime. La creatura spettrale, i cui occhi violacei splendevano al buio, divenne il bersaglio delle frecce di Manatea: ma quando queste colpirono con forza qualcosa di tangibile, la creatura reagì, incendiando la pelle dell’esploratrice e avvolgendola in uno spaventoso rogo.

Dakkar, Kadmos e Isaac tenevano la doppia linea della battaglia, ma il sangue corrotto dei ghoul paralizzò per qualche istante il guerriero, esponendo Andrey all’attacco delle creature non morte. Privo dell’aiuto dei suoi compagni, l’assassino, che pur aveva affondato i suoi pugnali nel cuore di una mezza dozzina di creature, fu costretto a cadere, le carni dilaniate dai letali artigli dei suoi assalitori.

Mentre Chandra soccorreva Manatea, ancora avvinghiata tra le fiamme, Kiran fece esplodere una sfera infuocata sulla creatura spettrale, uccidendola insieme a numerosi ghoul. Kadmos e Isaac abbatterono gli ultimi non morti, mentre Dakkar fu aiutato da chi meno poteva aspettarselo: uno dei ghoul infatti colpì alle spalle l’altro, e dopo rimase fermo, in attesa.

Scoprire che il tenebroso ghoul era un tempo un membro della sua gilda di assassini scosse non poco Andrey, ma Djabel, la cui lucidità era appannata a causa di ciò che aveva subito nella fortezza di Uthgar rivelò che egli non aveva sottratto il grimorio tanto agognato dal Magister: lo stesso conclave di Alekhin aveva tradito il suo signore, privandolo del tomo stregato.

Djabel tuttavia poteva ancora essere utile. Nelle Sale del Silenzio aveva appreso vie segrete per giungere sino al Cancello degli Uccisi, e gli avventurieri negoziarono le informazioni, promettendo la salvezza a ciò che restava dell’uomo che un tempo era stato un assassino. Tuttavia, come avrebbero appreso presto, altri viaggiatori erano giunti innanzi all’ultimo portale di Uthgard prima della Compagnia.

La sala sottostante la balconata su cui si trovavano era invasa dagli orchi. In mezzo a loro troneggiva Czigo, e davanti a lui il sinistro Yaga, che gli avventurieri avevano risparmiato alcuni giorni prima. Sebbene le parole di Yaga fossero servili, gli orchi sembravano schierati per la battaglia. Czigo si avvicinò al portale che proteggeva la piana dei morti, stringendo il bastone di Elragh. Egli tuttavia, richiese la mappa prima di aprire le porte, e finalmente Yaga costrinse il mago a confessare il suo tradimento: poiché Czigo non serviva la tenebra, ma come intuì Chandra lo scopo che perseguiva aveva un altro fine.

Al richiamo di Czigo, la stirpe di Xothalanc si precipitò nella sala, disponendosi a protezione dello stregone. Fu allora che Xirtam e Dakkar decisero di intervenire, schierandosi insieme agli orchi che sempre avevano combattuto e scagliandosi contro Czigo. Isaac avrebbe voluto fermare questo gesto folle: perché certamente, anche nel caso migliore, Yaga non avrebbe avuto alcuna pietà di loro, e il numero degli orchi era tale da rendere impossibile qualsiasi difesa.

La battaglia nella sala fu veloce e brutale. In pochi attimi colpi di scure e spada vennero sferrati da ogni parte, mentre gli orchi al comando di Yaga si abbattevano contro gli Xothalanchi. Kiran si librò sulla sala con le sue arti magiche, attendendo il momento propizio per intervenire.

Lo stregone venne raggiunto a dispetto dei poteri del bastone magico, che forse richiedevano troppo tempo per essere sprigionati. La scure di Dakkar e la spada di Kadmos si dimostrarono più veloci, mentre Manatea e Xirtam aiutavano i propri compagni da lontano. Kiran, intuendo che il momento era giunto, si precipitò dall’alto, e strappò il bastone dalle mani di Czigo.

Sebbene la stirpe di Xothalanc fosse stata ricacciata nel buio, Yaga adesso fronteggiava gli avventurieri a capo dell’orda degli orchi, ansiosi di spargere altro sangue. Come aveva giustamente temuto Isaac, la battaglia che si stava per scatenare non poteva essere vinta: poco importava quanti nemici fossero in grado di abbattere i guerrieri con le loro lame, gli orchi erano semplicemente troppi. Nonostante questo, Kiran era determinato a fermare gli orchi e i suoi compagni si prepararono ad un ultimo disperato confronto.

Eppure, quando il fuoco della battaglia stava per divampare per un’ultima volta, il portale alle spalle di Kiran si dischiuse. Gli orchi fraintesero il gesto del mago, pensando che egli si fosse infine arreso per viltà; ma quando il doppio battente si aprì del tutto, armigeri chiusi in corazze splendenti e ricoperte da rune stregate emersero dalla soglia della piana dei morti, dominata dalle Torri di Cenere. Chandra si avvicinò ai suoi compagni, certa che essi si trovavano al cospetto della Legione dei Morti, ma si arrestò subito quando i suoi poteri le rivelarono la verità.

La sua bocca fu incapace di trattenere le parole, e indicando uno tra gli armigeri il cui volto era nascosto dal pesante elmo, disse: “Dakkar, egli è tuo fratello”.