Il prigioniero degli Ankaster

Soltanto i veterani tra gli Uskarii non impallidirono nell’udire i rapporti consegnati quella notte al loro signore; si racconta che Gregor Mc Morn scrollò le ampie spalle, e leggendo lo sgomento negli occhi di molti tra i suoi guerrieri disse: “Non è forse per questa ragione per la quale i vostri padri hanno speso lunghi inverni per insegnarvi ciò che oggi sapete? Essi vi osservano e vi giudicano ancora oggi. E se il terrore scuoterà le fondamenta della vostra volontà, ricordate che a nessuno importerà in che modo siete morti, ma tutti giudicheranno il modo in cui avete vissuto”.

In piedi innanzi al corpo ormai freddo del robusto barbaro dei Votli, Chandra si liberò del mantello ed eseguì l’antico rito, apprestandosi ad affrontare gli irati spiriti degli uccisi. Una sinistra nebbia si addensò lentamente al di sopra del cadavere, e Chandra scorse in mezzo al vapore innaturale il volto del barbaro e i suoi occhi di fiamma: aveva trattenuto il suo spirito verso il Cancello degli Uccisi, ma doveva porre le sue domande in fretta.

Alla Sciamana sembrò di aver trascorso un’eternità al cospetto dello spirito, ma tutto si era svolto in pochi minuti: confortata da Xirtam, Chandra rivelò quello che aveva appreso. La tela era stata recisa da Gaelthar, un nome familiare per Dreela, poiché era quello utilizzato dal suo ierofante, Mavlik, presso il popolo dei Votli. Lo spirito del barbaro aveva testimoniato che la partenza dello ierofante era avvenuta molte lune addietro, e che egli aveva portato con sé metà della tela, istruendo i Votli a nascondere il frammento che possedevano. Mentre gli avventurieri riflettevano su quanto appreso, il trapestio di numerosi stivali chiodati li mise in allarme: Kiran avanzò la bizzarra ipotesi che Jean Ankaster in persona si fosse avventurato nella foresta per cercarli, o forse li avesse segretamente seguiti, ma quando i soldati entrarono nel cerchio di luce essi videro che portavano i colori dei Thaern, e a guidare il drappello di armigeri era Kadmos in persona.

Patrick e gli uomini sopravvissuti al suo drappello giunsero nello stesso momento, e la tensione che si era creata tra i due capitani si allentò quando Kadmos constatò che i suoi compagni erano tutt’altro che prigionieri. Mentre Dakkar metteva al corrente il condottiero di Logan Thaern, gli altri avventurieri decisero di ritornare a Kaltegar: le ombre intorno a loro si facevano sempre più cupe.

Tuttavia ai cancelli della fortezza non li attendeva soltanto la relativa sicurezza delle sentinelle, disposte ordinatamente intorno al perimetro delle mura ancora salde dell’antica rocca, ma anche una spinosa decisione. Patrick doveva portare con sé la metà della mappa recuperata, e gli avventurieri discussero a lungo se seguirlo all’interno del vasto accampamento degli Ankaster o cercare protezione presso Logan Thaern, cercando di convincerlo di quanto avevano appreso. Al termine di un lungo conciliabolo, gli avventurieri decisero di fidarsi di Patrick, ed egli li scortò al cospetto del suo signore, Jean Ankaster.

L’attesa all’esterno dell’ampio padiglione fu molto tesa. Sebbene Patrick li avesse fatti attendere solo una decina di minuti, era forte la convinzione in tutti gli avventurieri che da un momento all’altro gli armigeri degli Ankaster li avrebbero circondati da ogni parte e uccisi: i fuochi da campo dei Thaern e la salvezza che rappresentavano sembravano davvero troppo distanti.

Tuttavia fu tosto evidente che il rampollo degli Ankaster avesse altri piani, e Patrick emerse oltre il tendaggio invitandoli ad entrare. Jean Ankaster si trovava in piedi nell’ambiente insolitamente sfarzoso, che contrastava vistosamente con gli abiti dell’assassino al suo fianco. A dispetto delle loro più nefaste previsioni, il colloquio con Jean Ankaster fu molto diverso da come gli avventurieri lo avevano immaginato.

Jean Ankaster non era un viziato nobile sprovveduto come la maggior parte delle corti lo dipingeva. La sua maschera, costruita ad arte, gli era stata utile in molte circostanze e certamente avrebbe ancora continuato ad indossarla per lungo tempo, poiché nessuno avrebbe creduto a quanto gli avventurieri potevano rivelare su di lui. Tuttavia, in quella occasione, si dimostrò un interlocutore sagace e crudele: Chandra impallidì nell’udire che uno degli ierofanti, i cui poteri erano certamente notevoli, era stato catturato, torturato e ucciso nelle segrete di Edward Ankaster, e ancora peggio, aveva rivelato in qualche modo segreti che andavano custoditi. In che modo uno ierofante fosse stato costretto a tanto Chandra non poteva nemmeno immaginarlo.

Jean Ankaster aveva dunque recuperato la prima metà della tela, e appreso dell’esistenza di Dreela e dei Votli che custodivano l’altro frammento. Tuttavia, mentre egli si accingeva a partire verso Kaltegar, venne tradito: uno dei suoi servitori, senza dubbio con l’ausilio di mezzi magici, era riuscito a sottrargli la metà della tela che possedeva e fuggire. Il destino del ladro tuttavia era già segnato: Barge era stato infatti catturato e consegnato nelle mani di Goya, ma nonostante le doti dell’assassino, il prigioniero aveva fino a quel momento rifiutato di rivelare dove si trovava l’estremità della tela che aveva sottratto agli Ankaster.

Gli avventurieri scambiarono qualche parere, e decisero che per il momento avrebbero collaborato con Jean Ankaster nella ricerca del Cancello degli Uccisi. Egli dunque acconsentì a che essi interrogassero personalmente il prigioniero, sebbene fosse evidente che la semplice tortura non sarebbe bastata a piegarlo: qualcosa lo terrorizzava ben più della morte o del dolore.

Barge era stato nascosto in uno dei sotterranei abbandonati di Kaltegar, sorvegliato da un corpulento armigero degli Ankaster. L’uomo, sfigurato e mutilato, era tenuto in vita dalle sapienti mani dell’assassino, e non sarebbe stato consegnato alla morte se non dopo aver rivelato tutto ciò che sapeva. Dopo aver fatto alcuni tentativi, Kiran e Chandra convennero che Barge era soggetto ad una maledizione, e affidandosi alle sue capacità Chandra spezzò il malvagio incantesimo e liberò lo spirito del prigioniero.

Barge, nonostante fosse ormai in fin di vita, non ebbe più motivo di trattenere la verità, e rivelò tutto ciò che sapeva. Quando gli avventurieri furono soddisfatti delle risposte, Goya lo ricompensò con una rapida morte, ponendo fine alle sue sofferenze.

Ritornati all’accampamento, gli avventurieri si divisero. Kadmos si recò alla tenda di Logan Thaern, e dopo aver messo al corrente il nobile nato degli eventi di cui era stato testimone, fu Logan stesso ad incaricarlo di occuparsi personalmente del Cancello degli Uccisi, e dei segreti che nascondeva.

Dakkar e Chandra andarono invece in cerca di Boldar Barbarossa, e lo misero brevemente al corrente delle loro scoperte come avevano concordato. Il Nano si mostrò molto interessato, e accettò di buon grado di unirsi alla compagnia nell’esplorazione della foresta di Yrglis il giorno successivo.

Kiran, Xirtam e Andrey si recarono invece alla torre occupata da Malthus, e il bardo fronteggiando l’ira dello storico riuscì a recuperare il suo diario di viaggio. Kiran cercò di apprendere qualche informazione in più sui misteri che circondavano la foresta e i temuti ragni di Mekli, tuttavia Malthus si rifiutò di parlare di Sharn durante le ore notturne: poiché sebbene il Tessitenebra fosse stato sconfitto, il suo nome recava ancora un eco di terrore e morte, impossibile da dimenticare.

Andrey decise invece di esplorare i sotterranei della torre, ricordando che Malthus aveva fatto cenno alla possibilità di una camera segreta al di sotto dell’antica struttura. Affidandosi unicamente alle proprie capacità, egli rinvenne misteriosi simboli, incisi su una delle pareti dei sotterranei: le rune non erano familiari all’assassino, ma egli le ricopiò fedelmente, sperando che qualcuno tra i propri compagni fosse in grado di decifrarle.

Gli avventurieri si riunirono al fuoco da campo, dove Dreela li attendeva. L’alba sarebbe sorta tra poche ore, ed esausti essi si concessero un breve riposo.

E quella notte, nessuno di essi sognò.