I sopravvissuti di Ygvengar

Interpreti della volontà dell’Oracolo di Yg, gli Echteli meditavano sul destino del mondo, storditi dalle droghe nei lussuosi saloni della Torre di Izeràk. Eppure alla vista dello sterminato esercito del Conte Vampiro, il cuore dei sapienti fu ghermito dal terrore, ed essi bramarono, con irresistibile invidia, l’eterna benedizione concessa da Iskemora ai più devoti tra gli Ygviri.

Bell si alzò fradicio dal pantano in cui era stato sbalzato, attorniato da ciò che restava della fragile imbarcazione che aveva lo aveva condotto, insieme ai suoi compagni, nel cuore del gorgo del lago di Greveil; ma quando gli occhi si abituarono alla semi oscurità che lo circondava, la mente del guerriero si trovò improvvisamente in affanno.

Sopra la sua testa, pesanti e oscure, si agitavano le acque profonde del lago, sorrette da un potere implacabile che impediva a quella sinistra volta di precipitare sugli acquitrini sottostanti. Ed in quella gigantesca bolla d’aria che adesso lo avvolgeva, Bell vide nell’oscurità i contorni tetri delle rovine di un’antica città. Al suo fianco lo stregone si alzò, e respirando faticosamente confermò i timori di tutti: avevano raggiunto Ygvengar, la città perduta.

Quando anche Marchesa e Grinwald si ripresero dalla violenta caduta, la compagnia raccolse i propri averi e si preparò ad esplorare ciò che restava della spettrale metropoli. Di tanto in tanto la luce sprigionata dal bastone di Dorian si rifletteva su cristalli violacei, i cui sinistri bagliori ricordavano allo stregone i sette manufatti di Ygvengar, prigionieri del simulacro di Yg custodito nella sua scarsella.

La città si estendeva per molte miglia, ma la maggior parte dei gloriosi edifici era abbandonata o ridotta a inerti macerie. Eppure roccia e metallo avevano resistito al passare dei secoli, e sulla sommità di un’alta collina, proprio al di sotto del gigantesco gorgo che agitava le acque del lago, sorgeva un maestoso complesso di templi, le cui statue meticolosamente scolpite ispiravano ancora obbedienza e timore nel nome del dio serpente.

D’un tratto, un rumore secco proveniente da uno dei grandi palazzi ancora in piedi mise in allerta la compagnia, e con enorme sorpresa Grinwald udì il suono di voci umane, sebbene comunicassero tra loro in un dialetto incomprensibile per il paladino. Quando i nobili di Lairenne giunsero sulla soglia dell’antico rudere, Dorian utilizzò i suoi poteri arcani per decifrare quanto veniva detto, ma il suono cantilenante dell’incantesimo mise in allarme gli occupanti, spingendoli ad una fuga precipitosa.

Ansioso di non lasciarsi scappare l’opportunità di interrogare le creature che abitavano quel luogo innaturale, Dorian incitò i suoi compagni all’inseguimento, nonostante Grinwald invocasse inutilmente maggiore prudenza; e così, dopo aver disceso un centinaio di ripidi gradini, Bell e Marchesa raggiunsero una vasta sala sotterranea, il cui pavimento era nascosto da uno strato d’acqua non molto profondo. Qui due figure si agitavano nei pressi di un alto doppio battente, colti nello sforzo di aprire una delle pesanti porte di metallo sbalzato.

Tuttavia prima che qualsiasi parola potesse essere scambiata, uno dei battenti venne spalancato con violenza verso l’interno, e la spaventosa testa di un’idra dalle scaglie verdi ne emerse con un guizzo, addentando l’addome di uno dei malcapitati e sollevandolo dal suolo, mentre il suo compagno, con occhi sbarrati dal terrore, raggiungeva con un balzo la parete più vicina. Grinwald non ebbe esitazioni, e si precipitò per salvare la vittima dalle fauci dell’abominio, mentre l’idra entrava con violenza nella sala, snudando le zanne delle sue numerose teste verso quella nuova preda.

La battaglia che ne scaturì fu cruenta e lo scudo di Grinwald venne piegato dalla forza delle mascelle dell’idra, mentre la spada di Bell si alzava e abbassava di continuo, accompagnata da archi di icore nerastro. Marchesa sembrava danzare sul fianco della feroce creatura, schivando con agilità le acuminate zanne e affondando la sua daga tra scaglie più dure del marmo; ma poiché nulla sembrava scalfire l’innata vitalità della malabestia, Dorian scatenò il pieno potere dei suoi incantesimi necromantici ed infine il colossale nemico fu abbattuto.

Le ferite riportate dalla compagnia però erano talmente gravi da spingere Grinwald a invocare tutta la potenza di Libra per sostenere i suoi amici, e così illuminati dal favore della dea della giustizia, Marchesa e Bell trovarono nuovo vigore e si prepararono ad interrogare il superstite, le cui spalle tremanti erano schiacciate contro uno degli angoli della sala.

L’uomo, di bassa statura e carnagione pallida, era abbigliato con cenci laceri e fradici; la barba e i capelli incolti rivelavano una natura selvaggia. Quando i suoi soccorritori si fecero più vicini, egli si gettò ai loro piedi, forse implorando pietà nel suo bizzarro dialetto. Grazie al potere dell’incantesimo, Dorian interpretò le sue parole e intuì che l’uomo li aveva scambiati per avversari che forse temeva più dell’idra: gli Ygviri, i signori della città perduta.

Bell si decise a malincuore a ricorrere all’aiuto del demone, stringendo un accordo per usufruire della sapienza millenaria del parassita che da anni lo accompagnava. Lo sgradevole ospite lacerò la carne della mano destra del guerriero, aprendone una larga ferita munita di zanne, e tradusse nella lingua dimenticata ciò che la compagnia desiderava trasmettere all’atterrito sopravvissuto.

Nonostante la difficoltà della comunicazione, finalmente l’uomo si convinse che i suoi salvatori non fossero Ygviri, e li pregò pertanto di seguirli attraverso la porta dalla quale era emersa la gigantesca idra. Grande fu la meraviglia dei nobili di Lairenne nell’attraversare quegli antichi corridoi invasi dalle acque, decorati in tempi antichi dai laboriosi devoti del dio serpente. Eppure, nessuno tra loro era pronto alla vista di ciò di cui, da lì a poco, sarebbero stati testimoni.

Al riparo di un’alta balaustra, essi mirarono la marziale processione degli Ygviri, centinaia di soldati in marcia per le antiche strade di Ygvengar, chiusi in tetre armature d’ottone e bronzo forgiate in un’epoca ormai dimenticata. Gli elmi decorati erano stati realizzati in modo da mostrare quattro occhi, e ovunque nei loro armamenti erano presenti richiami all’effige del dio serpente.

La loro guida, atterrita come non mai, camminava curva e veloce, e li condusse all’interno di altri edifici e grandi sale, fino ad emergere su un vasto cortile in rovina, ove sorgeva l’accesso ad un alto e cupo torrione, ornato da fantastiche guglie dai morbidi contorni dorati. L’uomo cominciò a picchiare con forza su uno dei battenti, e non smise fintanto che l’uscio non venne aperto dall’interno; la compagnia lo seguì, ritrovandosi all’interno di un enorme salone malamente illuminato da torce e bracieri.

Non meno di una ventina di picche erano puntate contro di loro, sorrette dalle mani di uomini di bassa statura e abbigliati alla stregua della loro guida, che adesso sbraitava e si prodigava nel raccontare quanto accaduto: non Ygviri, ma campioni degli Echteli erano emersi dal nulla e avevano ucciso la grande serpe dalle molte teste.

Il mormorio di stupore cessò quando nella sala fecero ingresso un uomo e una donna, abbigliati in sete d’oro e porpora, che invocarono con calma il silenzio mentre discendevano da un’ampia scalinata. L’uomo si presentò con il nome di Edrick, signore degli Echteli, ed insieme alla consorte Nefni diede il benvenuto ai viaggiatori, accogliendoli nella torre dei discendenti dei consiglieri dell’Oracolo di Yg.

Attraverso la voce sgraziata del demone, Bell richiese ospitalità e cibo, soprattutto per Grinwald che aveva dato fondo alle sue benedizioni per assistere i suoi compagni a scapito delle pesanti ferite subite. Così gli Echteli abbassarono le picche, finalmente persuasi di non trovarsi innanzi ad una minaccia, ed Edrick e Nefni condussero la compagnia in una delle sale vicine alla sommità della torre, dove era stato preparato un desco ricolmo di cibo e bevande.

Marchesa notò che la maggior parte degli alimenti, principalmente pesci, crostacei e alghe, proveniva certamente dalle acque del lago di Greveil, ad eccezione di alcuni bizzarri frutti violacei, che presentavano inconsuete striature scure sulla morbida scorza. Edrick spiegò che tali prodotti erano fondamentali per la sopravvivenza stessa degli Echteli, poiché la maledizione di Yg si era abbattuta sulla città dopo il suo inabissamento, ed i sopravvissuti a quel devastante cataclisma si erano mutati in orrende creature come l’idra da loro sconfitta, a cui essi si riferivano con il nome di Faghti.

Edrick epiegò che il frutteto, benedetto da Iskemora stessa in epoche remote, aveva dato agli Echteli la facoltà di mantenere intatta la forma umana ed il raziocino ai suoi avi, attraverso i lunghi secoli trascorsi dal giorno della terrificante catastrofe. Tuttavia non tutto era stato preservato: nessuno tra gli Echteli era più in grado di eseguire i potenti incantesimi padroneggiati dai propri antenati, e le preziose pergamene contenute nel grande archivio della Torre di Izeràk erano per loro incomprensibili.

Zaerthliti , l’ultimo Signore degli Echteli capace di eseguire i complessi incantamenti, aveva tradito anni prima la sua gente, abbandonando i discendenti dei consiglieri dell’Oracolo e portando via con sé gli strumenti e la conoscenza per la coltivazione dei frutteti: già da tempo la maggior parte degli alberi era appassita o morta, ed i frutti che erano stati raccolti per ultimi avevano perso molto del loro originario sapore.

Quando la compagnia annunciò le proprie intenzioni, Edrick li mise in guardia: la profezia indicava che la porta della città perduta si sarebbe aperta all’interno del tempio del dio serpente, ma gli Ygviri non avrebbero mai concesso ad alcuno di avvicinarvisi, poiché la loro sopravvivenza era indissolubilmente legata alla fonte della vita, ed essa tracciava irrevocabilmente, per quegli antichi e spietati soldati, i confini dell’eternità.