La Compagnia del Corvobianco

Quando il principe Càlbulo di Miragliano ordinò il sacco di Varetta, era certo che i suoi soldati dalle lunghe alabarde avrebbero avuto la meglio sugli spennacchiati difensori radunati da Erodiano, suo rivale; tuttavia nella Battaglia dei Due Tramonti la Compagnia del Corvobianco dimostrò che tenacia e valore possono aver ragione di qualsiasi avversario.

Grinwald si destò all’improvviso, al suono della disperata voce di Edith. La giovane batteva forte sulla porta del rifugio di Elinor implorando aiuto con tutto il fiato che aveva in gola. Bell si alzò di scatto dal suo giaciglio e fece scorrere rapidamente il chiavistello, accogliendo la ragazza in lacrime tra le sue braccia.

La figlia di Miranda era sconvolta e trattenendo a stento i singhiozzi disse loro che Razàl aveva radunato tutti gli abitanti di Tulvéch nella piazza principale, innanzi alla dimora di Zethrela. Persino Lorcas era stato trascinato via, dopo che gli sgherri del mezzo-gigante avevano trovato la porta nascosta nella cantina del Sole Brillo. Edith soltanto era riuscita a fuggire, grazie all’aiuto di Marlon, ma il fratello di Grinwald era stato visto ed era rimasto indietro per permetterle di correre via.

Gli avventurieri si immersero subito in una fitta conversazione, per decidere il da farsi, ma Elinor, dopo aver affidato la giovane a Mastro Dargo, prese il suo pugnale ed imboccò la porta; l’alchimista di Tullvéch sentiva che troppo a lungo aveva rimandato il suo confronto con il carnefice dell’amata sorella: non avrebbe atteso un giorno di più.

Grinwald non poteva lasciare che Elinor andasse da sola incontro a quel terribile fato, né poteva restare impassibile mentre gli abitanti di Tullvéch subivano quell’ennesima tortura a opera dell’iniquo mezzo-gigante. Ancor di più, l’animo del paladino era squassato dai sensi di colpa, poiché senza dubbio quegli eventi nefasti altro non erano che il risultato della violenta scarcerazione di Mastro Dargo, avvenuta il giorno prima per mano della compagnia.

Quando il paladino emerse dal rifugio, si accostò ad Elinor laddove il sentiero, curvando, offriva la vista dei tetti del borgo. Fu allora che Grinwald si rese conto che il chiarore che aveva intravisto dalla porta non era dovuto alle prime luci dell’alba: Tullvéch bruciava, consumata dal rogo appiccato dalla furia di Razàl. Forse il mezzo-gigante si era convinto che gli avventurieri avessero trovato riparo in una delle case abbandonate e aveva scelto il modo più rapido e sicuro per stanare la sua preda.

Elinor avvertì il paladino che quel confronto poteva avere un solo esito: anche se l’alchimista fosse riuscita ad avvicinarsi abbastanza da piantare un coltello nella gola di Razàl, non sarebbe certo sopravvissuta alla vendetta dei suoi spietati sicari. Grinwald le promise che avrebbero trovato un modo per cavarsela, ma aveva bisogno di convincere gli altri viaggiatori, e il paladino sapeva che non sarebbe stato facile: sia Marchesa che Dorian propendevano infatti per sfruttare la circostanza a proprio vantaggio e cercare un qualche modo per accedere al maniero di Lairenne mentre Razàl era occupato a torturare gli abitanti del borgo. Sebbene tanta indifferenza verso i deboli lo disgustasse, Grinwald era consapevole che l’unica speranza di prevalere sui mezzo-giganti consisteva nell’unire tutte le forze della compagnia.

Mentre Elinor spariva nella macchia boschiva diretta incontro ad un destino che sembrava ineluttabile, Grinwald tornò sui suoi passi per tentare di convincere i suoi compagni ad unirsi a lui in quella disperata impresa; grande fu la sorpresa del paladino quando Marchesa e gli altri viandanti gli si fecero incontro lungo la via: si sarebbero uniti a lui, nel tentativo di contrastare le malefatte di Razàl con ogni mezzo possibile.

Quando gli avventurieri emersero dalla macchia di vegetazione, trovarono Elinor intenta a rimuovere la neve dal passaggio che l’avrebbe condotta a Tullvéch. Grinwald avanzò con passo deciso per aiutarla, ma un suono improvviso lo costrinse a voltarsi verso l’orizzonte: un colpo d’arma da fuoco, forse di un moschetto, era stato esploso nei pressi della torre di guardia dove Gauthier aveva somministrato loro il micidiale Morso di Seth, pochi giorni prima.

Aguzzando la vista, Bell vide un piccolo gruppo di banditi al soldo di Razàl che percorreva il ponte in tutta fretta, urlando tra un’imprecazione e l’altra ai propri commilitoni di aprire le porte e lasciarli entrare. Grinwald decise che era troppo importante scoprire cosa stesse accadendo alla torre di guardia, e così l’intera compagnia si diresse verso il ponte seguita da Elinor.

Tuttavia sugli spalti delle basse mura di Tullvéch gli uomini di Razàl si erano già radunati, e non appena videro gli avventurieri attraversare il viadotto, scagliarono alle loro spalle una pioggia di dardi e frecce. Per fortuna la mira dei banditi si rivelò molto imprecisa, e tosto la compagnia raggiunse la terraferma, dove sorgeva la torre di guardia.

Una battaglia cruenta infuriava all’interno del minareto e la piccola taverna in cui Gauthier li aveva gabbati era a soqquadro: tavoli e sgabelli giacevano rovesciati, carte da gioco erano sparse sul pavimento al fianco di boccali, ciotole e tranci di maiale arrostito. In uno degli angoli della stanza, una giovane donna dalle braccia tatuate e dal cranio rasato combatteva con furia cieca contro quattro uomini della milizia di Razàl. Nonostante la sua ferocia, la donna era stata messa all’angolo e sanguinava copiosamente, e sarebbe presto stata sopraffatta; ma Grinwald e Bell non persero tempo e si gettarono nella mischia, seguiti poco dopo da Marchesa.

Solo pochi istanti più tardi, un ruggito spaventoso colpì d’improvviso l’udito di Dorian: una belva disumana doveva trovarsi al piano superiore della torre. Elinor imboccò subito le scale e il mago-veste la seguì. Quando raggiunse la metà della bassa torre, Dorian vide che una bestia  umanoide alta più di due metri, dal muso caprino e dalle corna ricurve, si batteva contro un gruppo di miliziani che l’aveva costretta all’angolo con lunghe e acuminate picche. Elinor snudò il suo pugnale e si lanciò verso uno degli uomini di Razàl, ma questi, sebbene colpito alla schiena, riuscì a liberarsi dell’alchimista e si scagliò verso Dorian: tuttavia il mago-veste era pronto, e abbatté l’avversario con pochi gesti della sua infallibile bacchetta magica.

Nel frattempo al piano inferiore Bell e Grinwald riuscirono ad aver ragione dei nemici, ma quando Marchesa abbatté l’ultimo avversario, la giovane che aveva soccorso le si lanciò addosso mulinando ferocemente la spada bastarda, in preda ad allucinazioni dovute certamente a qualche droga che le impediva di distinguere gli amici dai nemici. Marchesa cercò di difendersi in tutti i modi, ma mai era stata costretta a sostenere un assalto tanto brutale e quando l’ultimo colpo violò la sua guardia il dolore fu troppo grande e la giovane di Varetta cadde seguita da un arco di sangue. Fu allora che Bell colpì la selvaggia berserker al collo con l’impugnatura della sua daga, stordendola abbastanza a lungo da consentirgli di legarle le mani, mentre Grinwald si occupava di fasciare alla meno peggio le ferite di Marchesa.

Dorian intanto aveva disceso le scale in tutta fretta, lasciando Elinor a coprirgli la ritirata. Esortò quindi entrambi i combattenti a precipitarsi al piano soprastante, mentre lui continuava ad occuparsi di Marchesa. Bell e Grinwald giunsero appena in tempo per salvare Elinor e abbattere gli ultimi due avversari, quando un terzo bandito venne fatto ruzzolare giù dalle scale dall’ultimo piano della torre. L’uomo che ne aveva causato la morte si fece avanti scendendo cautamente i gradini di pietra, e con somma sorpresa degli avventurieri, nonostante il suo volto fosse coperto per metà da un fazzoletto cremisi, Elinor lo chiamò per nome: egli era infatti Dismas, l’assassino della compagnia del Corvobianco.

Dismas si sincerò che Elinor non avesse subito ferite gravi, e mentre l’alchimista si avvicinava al corpo sanguinante della terribile mostruosità che aveva combattuto al loro fianco, un altro combattente fece il suo ingresso, discendendo dalla sommità della torre. Il guerriero, non più giovane, indossava una corazza di piastre reduce da molte battaglie e ampie braghe risucchiate al ginocchio da comodi e insozzati stivali da viaggio. Il barbuto veterano reggeva uno scudo rosso cupo su cui campeggiava un simbolo bianco, indistinguibile a causa dei numerosi colpi subiti, e il suo occhio sinistro era coperto da una benda, su cui sfavillava un piccolo rubino.

Egli si fece innanzi, presentandosi come Valamir il condottiero della compagnia del Corvobianco, ma Elinor maledisse il suo nome e lo accusò di aver quasi ucciso la creatura che gemeva sotto di lei. Sotto lo sguardo esterrefatto della compagnia, la malabestia cominciò a subire una raccapricciante trasformazione, e Bell si rese conto che quell’abominio era stato un tempo un uomo, il cui sangue era maledetto al pari di quello che scorreva nelle vene dei licantropi; e come Dorian aveva sapientemente indovinato, la creatura rispondeva al nome di Rogar, il penitente che aveva viaggiato insieme a loro sul Sentiero dei Dannati appena pochi giorni prima.

Riunitisi al piano inferiore, gli avventurieri si resero conto che il momento di riposare era ancora molto lontano. Tullvéch ardeva tra le fiamme mentre i suoi abitanti terrorizzati erano ostaggio della malvagia strega Zethrela. Elinor era decisa ad affrontare il crudele mezzo-gigante, e la sua volontà si rafforzò ulteriormente quando Rogar le rivelò che aveva portato con sé ciò che l’alchimista gli aveva affidato più di sette anni prima.

Elinor si avvicinò al forziere che l’amico aveva trascinato fino alla soglia della torre di guardia, ed infrangendo la promessa che aveva fatto molti anni addietro, ne trasse fuori il suo vecchio equipaggiamento da battaglia; indossato il suo mantello e la maschera-corvo dei medici della peste, l’alchimista si mutò in una figura inquietante e minacciosa, armata di fiale e composti alchemici che avevano sfidato e vinto il passare del tempo.

I nove avventurieri si riunirono all’estremità del ponte, mentre innanzi a loro le fiamme si levavano ruggendo oltre le basse mura di Tullvéch, in attesa di ghermire coloro che avessero osato sfidarle in un ardente quanto mortale abbraccio.