Un trono senza un re

Gottwald Lieber, Mastro del Conio del Regno e primo borgomastro di Kaltenberg, era stato sempre un leale consigliere e amico di Norwin. Tuttavia, quando ebbe l’occasione di domandargli il perché di quella disperata ricerca, il terzogenito di Rorik Vaughen gli rivolse soltanto un’enigmatico e triste sguardo. Gottwald preferì non domandare oltre; era più che evidente che il principe non aveva mai pensato di riveder tornare vivo il Re, alla medesima stregua dei suoi fratelli maggiori.

Quando Egill venne accolto tra le mura dell’antico palazzo reale di Draskìr, percepì distintamente l’ostilità che la vista del simbolo sacro di Libra suscitava nei servi e nei cortigiani che ne interpretavano correttamente il significato. Un solo uomo tuttavia osò arrestare il cammino della sua scorta; sebbene Egill non avesse mai incrociato il suo sguardo, ebbe l’impressione che poche cose potessero sfuggire all’attenzione di Goya, il Maestro degli Assassini della corte reale di Draskìr.

Se Goya non aveva opposto alcuna resistenza al severo monito di Egdren, capitano della guardia del principe Norwin, decisamente più minacciose e velenose furono le parole del vicario, Xavier Forcas, che non risparmiò le sue ostili osservazioni nemmeno quando Egill giunse al cospetto del principe. Norwin mascherò la sua tensione interiore e congedò con garbo il vicario, prima di offrire il suo benvenuto al paladino di Erin.

Egill fu lieto dal constatare che il principe non serbava per lui lo stesso rancoroso atteggiamento che aveva pazientemente sopportato lungo il viaggio. Certo aveva colto ammirazione e solidarietà in alcuni sguardi della popolazione del Regno durante il suo viaggio verso Draskìr, ma le parole che gli venivano indirizzate erano state sempre amare o sgarbate. Il principe lo invitò attraverso la vasta sala sino ad una balconata, che offriva a settentrione la vista della grande città di Draskìr, ammantata di neve sotto un magnifico firmamento.

Fu qui, al cospetto di Martin e Bartholomeus, che Norwin svelò finalmente il motivo per cui aveva dato udienza al giovane paladino. Egill fu sorpreso dall’udire che Norwin nutriva ancora speranze nel ritrovamento del padre e sebbene la sua missione esigesse il consenso del Re, il paladino dovette ammettere a se stesso che poche cerche erano state più disperate. Nondimeno, decise di offrire il suo aiuto al principe, poiché gli sembrò che la sua richiesta fosse nobile e giusta.

Stanco dal lungo viaggio il paladino dormì senza sognare, ma quando vide i compagni con cui avrebbe diviso il cammino, i suoi dubbi si moltiplicarono. Gli uomini fedeli al principe infatti erano delle caste più disparate: un gigantesco fabbro armaiolo che rispondeva al nome di John si accompagnava ad un frate dall’aria diffidente, Brandano. Poco più avanti un uomo dalla imponente presenza fisica si presentò con il nome di Rudolf Steiner; sul suo cavallo da guerra era innalzato arrogantemente il vessillo imperiale, di norma riservato agli ambasciatori di Untershank. Vicino al proprio corsiero si trovava invece un giovane dalla pelle bianca e dagli occhi rossi come vampa: era Galaverna, mago della torre di Ashkalt.

La bizzarra Compagnia lasciò le mura del palazzo reale di buon mattino, non senza che John notasse la snella figura di Goya, la cui schiena era appoggiata contro una gargolla di pietra accovacciata su un contrafforte posto a svariati metri dal sentiero di ciottoli che costeggiava le mura del palazzo reale. Goya gli rimandò un beffardo cenno di commiato e la Compagnia riprese tosto la sua marcia.

Dopo un intero giorno di cammino, i viaggiatori si accamparono all’adiaccio, un esperienza che Martin avrebbe volentieri evitato; il giorno dopo quindi, mentre si accingevano ad attraversare il villaggio di Ferna, il nobile di Ravendish fu il primo a richiedere di sostarvi almeno per la notte. Sebbene il resto della Compagnia avesse inizialmente deciso di transitare senza fermarsi, l’odore dell’arrosto e delle patate speziate della vecchia Egge convinse anche i più restii a mangiare un boccone alla Taverna del Profeta.

Dopo aver trangugiato abbondanti porzioni di cibo e aver affogato i propri cupi pensieri in copiosi boccali di birra e vino, Brandano, sempre molto sospettoso, domandò per quale mai motivo una missione così importante fosse stata affidata ad un gruppo così eterogeneo. Certamente non vi erano più guarnigioni da inviare alla ricerca del Re, ma davvero il principe non disponeva di uomini più fidati? Bartholomeus tagliò corto, il fabbro non era abituato a discutere i desideri del suo principe, così la conversazione si spostò sui motivi che avevano spinto i vari commensali ad unirsi alla disperata ricerca.

Dopo un ultimo giro di boccali accompagnato da un monologo senza interruzione di Martin, tutta la compagnia decise che era giunto il momento di valutare se le camere loro destinate valessero il conio speso. L’oste non li deluse, riservando per loro le stanze migliori, ma il sonno non sarebbe arrivato molto presto: un’animata conversazione su temi religiosi coinvolse nuovamente quasi tutta la compagnia, così come era inevitabile tra uomini dalla fede così salda quali erano Egill e Brandano.

Finalmente il buon senso prevalse sull’ostinazione, e la Compagnia decise che era giunta l’ora del riposo, rimandando eventuali conversioni reciproche ai giorni successivi; per quanto fievoli fossero le speranze di ritrovare il Re vivo infatti, era doveroso onorare i desideri del principe Norwin alzandosi di buon mattino.

Nessuno tra essi avrebbe mai immaginato che ben altre preoccupazioni avrebbero stretto i loro cuori nei giorni avvenire, né quali salde amicizie sarebbero sorte dalla condivisione del tetro fato a cui tutti loro avevano scelto di andare incontro.