La città dell’incubo

Per molto tempo, storici e dotti hanno affermato che Glenthia venne distrutta dall’antico drago. Tuttavia è tempo di affrontare la verità e riconoscere che a ben peggiore fato furono condannati gli abitanti della città dell’incubo.

L’alba che seguì era fredda e gelida, eppure quasi tutti gli abitanti di Ferna si erano riversati sulla strada maestra, per salutare la partenza dei prodi cavalieri, i cui stendardi che garrivano al vento offrivano uno spettacolo maestoso che avrebbe animato le conversazioni della Taverna del Profeta per molti anni a venire. Egill e Rudolf aprivano la strada, mentre poco indietro Martin salutava le dame del volgo sventolando elegantemente il suo ampio copricapo; sebbene il gigantesco fabbro non fosse in arcione, il crocchio di minuti ragazzini di Ferna lo salutò con entusiasmo, poiché John aveva insegnato loro il gioco della testuggine, diventando immediatamente il beniamino di tutti i marmocchi del villaggio.

I viandanti non incontrarono anima viva durante tutto il giorno, e soltanto la sera ebbero modo di desinare con una famiglia di profughi, che abbandonava la propria dimora avita per cercare sicurezza nelle terre meridionali. Dopo aver vinto le iniziali diffidenze, Ortolf invitò i nobili e il loro seguito a dividere la cena intorno al fuoco con la sua numerosa prole; il fattore era all’oscuro di ciò che accadeva nel mondo, tuttavia aveva udito che il Re era morto, e sosteneva vigorosamente che le cose non andavano più come avrebbero dovuto. Ciò che lo aveva spinto a lasciare la sua dimora tuttavia era che a suo dire anche la terra sembrava essersi incattiva; queste parole sembrarono turbare Bartholomeus, il cui volto si fece ancora più cupo.

Soltanto al termine del giorno seguente i viaggiatori riuscirono a scorgere le bianche mura di Glenthia; maestosi e imponenti, i contrafforti si elevavano per oltre venti metri, una barriera che diciannove anni prima gli orchi non erano riusciti a violare.

Tuttavia, quasi a contrastare lo splendore delle mura della città del grifone nero, il lezzo di carne in decomposizione guidò gli occhi degli avventurieri su una disgustosa diga che rallentava il corso del fiume Bjorn; un ostacolo costituito da detriti, fango, rami e… cadaveri umani.

John sentì montare la collera dentro di sé. Come era possibile che i cadaveri non fossero stati sepolti? Il gruppo si mosse rapidamente verso gli imponenti portali che svettavano verso l’alto, osservati dalle vuote orbite del teschio di Urash, inchiodato sull’architrave del doppio battente.

Una volta all’interno, alcuni soldati li salutarono con il capo. John si sorprese nel non riconoscerne nessuno, nemmeno il capitano dei Cancelli Meridionali che giunse per dar loro il benvenuto. Bartholomeus richiese udienza per conferire con Bansàg Robrain, ma il capitano sembrava restìo ad accogliere la sua richiesta, sebbene non ne avesse l’autorità. Prima che i due uomini potessero accordarsi, Krisha, unica figlia di Robrain, emerse da una delle buie arcate, marciando letteralmente verso i viandanti appena giunti a Glenthia.

Martin, la cui galanteria era rinomata negli antichi possedimenti della Contea, discese agilmente dal destriero e si presentò con un inchino elaborato e raffinato, tanto da distogliere per qualche istante Krisha dai suoi propositi. Rudolf, che aveva visto la figlia di Robrain in un unica occasione, ricordava con piacere i suoi sguardi, e le si fece incontro, senza sospettare gli intenti della giovane nobildonna; ella infatti, non appena Martin le lasciò la mano appena baciata, non esitò a sferrare un sonoro ceffone al nobile viso del rampollo degli Steiner. Il gesto, inatteso quanto feroce, lasciò esterrefatta la maggior parte dei presenti, mentre Martin si affrettava a fare qualche passo indietro, nel caso la gentile donzella avesse avuto in mente di picchiare anche lui. Tuttavia, il rancore di Krisha aveva un solo destinatario.

Lo stendardo che Rudolf aveva scelto di issare sulla sua lancia era stato interpretato come un’oltraggiosa sfida al diritto dei monarchi di Ursathra, ed in coincidenza con la morte del Re aveva triplicato il suo negativo effetto agli occhi di coloro che avevano combattuto al fianco di Re Rorik. Con molta difficoltà, il capitano Bronnok riuscì a convincere Krisha dal ritirarsi nei suoi alloggi. Rudolf ebbe solo vagamente il tempo di chiedersi come mai la donna si trovasse presso le porte meridionali; di lì a poco la sua domanda avrebbe trovato risposta.

Bansàg Robrain stesso infatti si trovava in uno dei torrioni delle mura meridionali, ma i suoi alloggi apparivano tetri e miseri. Colui il quale era stato un tempo un eroe per gli abitanti di Glenthia, li accolse con parole fredde e disperate, mentre ubriaco consumava le sue giornate lasciando che la città appassisse lentamente. Martin si chiese come era possibile che quel relitto fosse lo stesso uomo che aveva spiccato di netto la testa di Urash. Apparentemente la morte del Re aveva sconvolto la mente di Robrain, eppure Galaverna iniziava a sospettare che qualcosa di terribilmente malvagio si era insinuato recentemente nelle menti degli abitanti di Glenthia; gli bastò attendere poche ore per averne ulteriore prova.

Emerso dalla torre del Grifone Reale, John guidò il gruppo verso il distretto che ospitava la sua bottega, risparmiata dalla furia del drago. Quando attraversarono l’arcata della cerchia interna di mura di Glenthia, il cuore di Brandano tremò: poiché la sua mente faticava a credere che ciò che si estendeva davanti ai suoi occhi era tutto ciò che restava della grande città di Glenthia.

Gli scheletri anneriti di pietra e legna delle abitazioni si accostavano a macerie e ruderi, niente di ciò che era stato costruito dall’uomo si era dimostrato abbastanza robusto da sopravvivere al soffio del rettile alato; il crociato non poté fare a meno di chiedersi come era possibile che il Creatore avesse concesso ad un essere così spaventoso e terribile di vivere. La notte infine nascose pietosamente alla vista dei viaggiatori quello spettacolo di estrema devastazione, poiché invero nessun cuore era tanto forte da sostenere a lungo la vista dell’opera di un antico drago.

Senza indugio, John si diresse alla bottega, dove sperava di incontrare alcuni dei suoi amici. Insolitamente, le poche ombre che i viaggiatori incrociavano si affrettavano a rifugiarsi nelle poche case ancora in piedi, e soltanto Friedelbert, solitaria guardia della milizia, rimase ad attenderli. Il giovane tuttavia era sconvolto, e tremava dalla paura; riferì a John che negli ultimi giorni le ronde erano state interrotte, poiché i soldati non tornavano più dalla città vecchia, e sparivano, inghiottiti dalle tenebre. Al fabbro sembrò che il ragazzo fosse aggredito da un timore che nemmeno lui riusciva a spiegare; il suo spirito era fiaccato.

Turbato dalla situazione, John aiutò Brandano a fabbricare una pesante croce di legno, nella speranza che portasse conforto lungo il loro tragitto. Una volta pronta, gli avventurieri si mossero verso il Piazzale dello Scacchiere, nella speranza di trovare qualche indizio che potesse spiegare il bizzarro comportamento degli abitanti di Glenthia. Galaverna percepì l’opera della stregoneria nelle strette vie deserte e non ebbe più dubbi: se il drago aveva distrutto la città, un altra malvagità ne stava completando l’opera, una potenza che desiderava schiacciare la stirpe dell’uomo senza alcuna pietà.

Tre soldati, la cui mente era visibilmente confusa, sorvegliavano meccanicamente un doppio battente eretto in fretta e furia tra due strette case. Rudolf ordinò perentoriamente che fosse aperto, e gli avventurieri si trovarono poco dopo nel vasto Piazzale dello Scacchiere. Brandano poteva ricordare ancora l’affollato mercato che si svolgeva ai piedi della maestosa statua equestre, ma adesso nulla di ciò che ricordava esisteva più. Il piazzale era ingombro di macerie e assi di legno spezzate, che ostruivano parzialmente la vista, e della statua non era visibile nemmeno il basamento di marmo.

D’un tratto l’intera compagnia udì un grido strozzato provenire da un punto imprecisato innanzi ad essa, seguito dal cozzare delle armi e dalle imprecazioni degli uomini. John non ebbe esitazioni, e a grandi falcate si precipitò innanzi, scavalcando vigorosamente le macerie. Quando il gigantesco fabbro riuscì a vedere dall’altro lato, stentò a credere ai suoi occhi.

Due gruppi di uomini si battevano alla morte ma dagli abiti sembrava che entrambi gli schieramenti appartenessero alla città di Glenthia; John si avvicinò e così ebbe modo di scorgere le insegne dei soldati su alcuni dei combattenti; prima che potesse intervenire, Egill lo scavalcò, caricando sul suo destriero bianco senza esitazione e raggiungendo eroicamente il cuore della mischia. Nello stesso momento, Martin discese da cavallo e intervenne a favore del soldato più vicino, trafiggendo con la spada corta il rene del suo avversario, un affondo che avrebbe ucciso un uomo comune; fu allora che la creatura che aveva colpito si girò verso di lui, rivelandosi nel suo terrificante aspetto. Forse un tempo un uomo, il non-morto fissò il giovane Martin con occhi bianchi e vuoti, prima di aggredirlo con i suoi artigli.

La battaglia che ne seguì fu cruenta e disperata. Galaverna, in sella al suo corsiero, invocò le energie stregate illuminando con freddi bagliori il campo di battaglia, infliggendo la morte bianca alle creature animate dalla magia nera. Brandano, dopo innumerevoli sforzi, riuscì a far precipitare la grande croce di legno su alcune delle immonde creature, travolgendo nell’impeto anche il paladino che tentava di tenerle a bada. Rudolf, scagliatosi contro quello che sembrava essere il necromante inumano artefice dell’orrore che li circondava, venne aggredito da altri due raccapriccianti non morti sulle cui schiene erano legate ossa e teschi umani. Il nobile Steiner venne trascinato giù dalla sella e avvinghiato in un mortale corpo a corpo.

Mentre John, Egill e Rudolf tenevano a bada i raccapriccianti non morti, Martin e Brandano riuscirono ad aggredire il necromante, colpendolo con violenza; Galaverna vide il nemico, e concentrò i suoi dardi stregati contro di esso. Il necromante infine tentò la fuga, ma in un turbine di fendenti, Martin e Brandano annientarono la malvagia creatura e con essa la schiera dei morti che aveva evocato.

Ansanti e sanguinanti gli avventurieri ebbero appena il tempo di sincerarsi che tutti i propri compagni fossero ancora in vita; alcune ombre si precipitarono verso di loro, ed una di esse lanciò un grido di sorpresa: “John! John! Il Creatore sia lodato: il bue è qui!”.