Ritorno a Draskìr

Rainer Steiner osservava dall’alto della torre del proprio castello le nubi addensarsi all’orizzonte. Rorik Vaughen, suo antico nemico, era morto in difesa del suo regno, e i suoi figli attendevano che i nobili nati che avevano aiutato il padre a conquistare Ursathra si riunissero in consiglio, per decidere quale tra gli eredi del Re avesse il diritto di sedere sul trono. Rainer sorrise immaginando l’imminente farsa al palazzo reale; eppure era stato proprio Rorik a dimostrare che il potere si conquista con il sangue, e che non esiste alcuna legge che possa resistere ad un vigoroso e preciso colpo di spada.

Il grido di Galaverna scosse gli avventurieri dal sonno stregato appena in tempo: assassini maldestri dalle lame arrugginite erano quasi giunti a coronare la loro infausta missione, ma quando le loro vittime si destarono prendendo le armi il loro sangue si gelò, e la loro poca determinazione venne meno.

Galaverna fu il primo a reagire e dalle sue dita un dardo di spietato ghiaccio spezzò la vita di uno dei sicari; alla vista della stregoneria gli altri si diedero immediatamente ad una disordinata fuga. Martin e Rudolf si gettarono all’inseguimento, mentre il resto della compagnia ancora si levava dai propri giacigli. Fu allora che i nobili nati udirono esplodere alle proprie spalle il secondo e più micidiale sortilegio scagliato contro di loro, mentre la palla di fuoco ustionava la pelle dei propri amici.

Martin corse subito indietro, mentre Rufolf individuato l’incantatore, gli si gettò contro, colpendolo con forza prima che potesse eseguire un’altra diavoleria; e quando si trovò impegnato nel terribile corpo a corpo, il nobile Steiner vide che il suo nemico aveva i tratti disumani di un orco. In pochi attimi la compagnia si lanciò in aiuto di Rudolf, mentre lo sciamano continuava a mordere e artigliare; lo stesso John faticava non poco a trattenerlo. Temendo che la malabestia potesse scatenare altri incantesimi, Martin la trafisse con la spada corta, ponendo fine alla sua abietta vita.

Sopravvissuti a quel malvagio agguato notturno, la compagnia si decise a partire con le prime luci dell’alba, lasciando insepolti i corpi dei nemici uccisi. Ancora due giorni di cammino li separavano dalla sicurezza offerta dalle mura di Draskìr, e John decise di montare la guardia tutte le notti, concedendosi solo un breve riposo. Tuttavia Galaverna sapeva bene che i suoi compagni non si erano addormentati per stanchezza: soltanto la voce del demone aveva impedito che la compagnia venisse distrutta, e lo stregone ora sapeva che il servo di Acheron avrebbe fatto ogni cosa per non tornare in possesso della tenebrosa Sheena Drur. Galaverna si chiese se la donna che avevano combattuto nei sotterranei della cattedrale anelasse davvero l’artefatto dei signori di dei demoni: le parole dell’abominio gli avevano infatti suggerito ben altra verità.

Quando infine i contrafforti di Draskìr furono visibili, gli avventurieri arrestarono la loro tenace marcia. Qualsiasi cosa desiderasse fermarli non li aveva raggiunti, o era stata trattenuta alle loro spalle. Dopo aver varcato i cancelli della capitale del Regno di Ursathra, John non poté fare a meno di notare un insolito numero di drappelli di soldati per le strade, addobbate con lunghe stoffe e arazzi per celebrare l’imminente secolo, così come Jorgen aveva disposto. Uno dei soldati spiegò che il principe Ragnar era atteso da un giorno all’altro, e la popolazione di Draskìr si preparava ad acclamare il suo ritorno.

Senza indugio, la compagnia risalì le strette strade che conducevano al palazzo reale, da cui era partita due settimane prima. L’intento di Rudolf era quello di parlare quanto prima possibile con il principe Norwin, ma il nerboruto Duncan, responsabile dell’addestramento marziale del principe, impose a tutti loro di attendere il termine degli allenamenti. Temendo per la vita del principe, gli avventurieri si prepararono ad intervenire, ma nel vestibolo entro il quale attendevano vi era qualcun altro che attendeva di conferire con il terzogenito di Rorik: Goya, il Maestro degli Assassini. Rudolf lo affrontò senza esitazione, ma al termine del breve scambio di parole ebbe la netta impressione di aver rivelato troppo, e di aver appreso poche cose. Se Goya sapeva qualcosa dei movimenti del generale Davon Fargan lo tenne infatti per sé.

Quando il principe Norwin raggiunse i suoi ospiti, Goya ebbe modo di conferire con lui per primo, in privato. L’assassino poi si allontanò, sotto lo sguardo vigile di John, mentre Rudolf cominciava il lungo racconto delle peregrinazioni che avevano portato l’intera compagnia al successo della propria missione; Martin infine snudò Drachnost, a prova delle parole del nobile Steiner.

Gli occhi del principe espressero la propria gratitudine, poiché, egli disse, sebbene tutta la corte del regno si attendesse che i figli di Rorik si apprestassero a uccidersi tra loro per la corona del padre, nessuno di essi aveva dimenticato mai il loro legame di sangue; e infatti, se vi era qualcosa che certamente li univa era il desiderio di vendicare la morte del re, ponendo fine alla vita dell’immondo Drago.

Norwin chiese al nobile di Ravendish di custodire ancora per qualche giorno la Spada Nera. Non era più necessario mantenere il segreto: poiché presto gli occhi dell’intera corte si sarebbero posati sull’arcaica lama, che più di ogni altra cosa anelava il sangue dell’antica stirpe generata dalla tenebra.