Le vestigia di Kaltegar

Durante la battaglia alla Gola del Terrore, Sherarghetru si erse in possanza, e la sua ombra annegò gli uomini in una coltre di morte e cenere. La Terza Oscurità si avventò famelica su coloro che avevano osato sfidare il suo volere, dilaniando e uccidendo qualsiasi creatura abbastanza coraggiosa o stolta da non fuggire.

Erano trascorse quasi due settimane dalla loro partenza, e mentre guidava il manipolo dei suoi uomini, Kadmos rifletteva sugli accadimenti. Aveva sperato di incrociare il suo Signore, Logan Thaern, al castello degli avi, ma laggiù aveva ricevuto soltanto il secco benvenuto di Galen Thaern, che lo aveva spedito quasi immediatamente verso la lontana rocca di Kaltegar, con l’ordine di raccogliere intorno alla bandiera del nobile casato quanti più uomini avesse trovato.

Una trentina di contadini e poveri mercanti aveva suo malgrado obbedito alla chiamata, lasciando le proprie famiglie per seguire Kadmos sino all’estrema frontiera di Istmaar, nelle terre che appartenevano da secoli al casato di Mc Morn.

Le domande che affollavano la sua mente avrebbero dovuto attendere risposta fino a che non fosse giunto alla vecchia fortezza, e soltanto quando ne varcò i confini Kadmos intuì che qualcosa di incredibilmente importante doveva essere accaduto in sua assenza. Come spiegare altrimenti la gran quantità di soldati e i padiglioni su cui sventolavano le bandiere di Hawok e Ankaster? Consegnate le redini del suo cavallo ad un paggio che portava i colori dei Thaern, Kadmos si fece strada verso i ruderi del maschio quadrato dell’antica rocca di Kaltegar.

I soldati lo fecero entrare in una vasta sala, occupata da un ampio tavolo di quercia, sul quale era incisa una mappa molto dettagliata della regione. Chino su di essa era Logan Thaern e innanzi a lui, con un cipiglio piuttosto dubbioso, si trovava Cael Hawok, signore delle terre settentrionali di Istmaar. Ad una delle estremità del tavolo, sedeva su un robusto scranno un uomo grasso e corpulento, avvolto in pelli d’orso nero che si fondevano con la barba lunga e incolta. Nonostante sembrasse dormire, l’uomo era ben sveglio e il bagliore sotto le sue palpebre indicava che non aveva perso una parola della conversazione dei nobili nati di Istmaar, preoccupati per la presenza di un migliaio di orchi ai confini della regione, pronti ad abbattersi come un’orda schiumante contro le esili difese della rocca di Kaltegar.

Kadmos tuttavia era ansioso di presentare il suo rapporto, ma alla notizia del fallimento delle trattative con il Magister, Logan Thaern si fece cupo. Era infatti giunto un mago pochi giorni prima, che recava gli omaggi del Signore di Alekhin, e Logan aveva immaginato fosse un segno del successo dell’opera del suo condottiero. Il motivo della presenza di questo impostore entro il perimetro dell’accampamento doveva dunque essere rapidamente accertato, e Logan ordinò subito a Kadmos di trovare il meschino ciarlatano e condurlo al suo cospetto. Tuttavia la ricerca non si sarebbe rivelata semplice.

Affidandosi ai suoi sensi, Kiran intuì che il mago si era dileguato la mattina stessa da Kaltegar, attraversando l’ampio battente che volgeva ad est, ammantato da un incantesimo che lo aveva celato alle guardie. Intendendo battere una pista ancora calda, gli avventurieri non esitarono a lanciarsi all’inseguimento, nonostante i cavalli fossero già provati dal lungo tragitto.

Dopo aver viaggiato per diverse ore, Chandra si fermò ad ascoltare le voci della foresta, trovando traccia di alcuni dei sui più letali abitanti: gli enormi ragni di Mekli, che avevano infettato con la loro presenza la foresta sin da quando i Nani avevano abbandonato il Cammino di Pietraverde. Innanzi alle imponenti ragnatele che ghermivano gli uccelli meno accorti della foresta consegnandoli alle implacabili fauci dei ragni, gli avventurieri decisero di ripiegare, lasciando però che Chandra li guidasse verso quello che sembrava un insediamento umano. Tuttavia, i selvaggi che abitavano in quell’angolo della foresta si mostrarono inospitali, poiché Dreela, a cui essi obbedivano, non aveva loro concesso alcuna udienza.

Intuendo che i nativi avrebbero potuto essere buoni alleati in futuro, gli avventurieri acconsentirono a ritirarsi e si diressero verso Kaltegar. Una volta nella fortezza, Kadmos e Dakkar si diedero da fare per cercare di stanare un individuo sospetto che avevano notato al loro arrivo, forse in combutta con l’impostore cui avevano infruttuosamente dato la caccia. Nel frattempo, Kiran, Chandra e Isaac cercarono di scoprire chi abitava l’antica Torre Vedetta di Kaltegar, sbilenca al punto che si sarebbe detto prossima a cadere nel baratro sottostante. Al suo interno trovarono il giovane Daniel, al servizio del famoso accademico Malthus, che tristemente era ricordato più per la sua vicinanza alla Compagnia del Cinghiale che per le sue elaborate cronache storiche.

Traendo soavi note dal suo strumento, Xirtam si attirò le simpatie dei soldati intorno ad uno dei fuochi da campo, e attingendo alle sue conoscenze su miti e leggende riuscì anche ad impressionare Boldar Barbarossa, cantando una ballata dal tono triste sul declino dei tempi maestosi in cui sembrava che qualsiasi meraviglia potesse scaturire dalle forge sotto le montagne.

Dopo aver montato il campo ed essersi assicurato che i suoi uomini fossero ben alloggiati, Kadmos tornò dai suoi compagni. La sensazione che qualcosa di spiacevole stesse per accadere gli si era attaccata addosso, e avrebbe tinto d’angoscia i suoi sogni per molto tempo a venire.