Il sentiero dei dannati

Durante tutto il corso del 1320 soltanto i gabellieri del duca e le carrozze del Cigno Nero osavano transitare per il Sentiero dei Dannati. Era opinione di molti che l’assenza di una qualche competizione aveva permesso alla potente corporazione di innalzare i prezzi per le merci che raggiungevano Tullvéch ben oltre qualsiasi ragionevolezza; e tuttavia, mai il Signore di Lairenne si trovò a contrattare sul prezzo, ingigantendo ancor di più le dicerie sullo smisurato tesoro di cui disponeva.

La stazione di posta del Cigno Nero di Rouen sorgeva a poca distanza dalle mura della città vecchia, e la sua inconfondibile insegna di ferro battuto cigolava senza posa nella notte, sospinta dalle improvvise e gelide raffiche di vento.

Stando alle informazioni che aveva raccolto, la diligenza sarebbe dovuta arrivare poco prima dell’alba e, dopo una breve sosta, sarebbe ripartita tosto verso il feudo di Lairenne; Marchesa varcò quindi la soglia sperando di potersi riparare, almeno per un poco, dalle dita inquisitrici dell’inverno.

All’interno della stazione di posta tuttavia non c’era alcun tepore ad aspettarla, bensì altri viaggiatori. Marchesa aveva sentito dire che non vi erano stati molti passeggeri che avevano scelto di percorrere il Sentiero dei Dannati negli ultimi cinque anni, e aveva sperato di essere sola nella carrozza. Gli dei, a quanto pareva, avevano deciso diversamente.

Grinwald passeggiava con una certa impazienza su e giù per quel disordinato magazzino, accompagnato dal familiare tintinnio della sua cotta di maglia. Ceste di gomitoli e uova erano poggiate accanto a rotoli di tappeti, nascosti in parte da rozzi manichini addobbati con abiti e copricapi dalla foggia più curiosa; armadietti contenenti cianfrusaglie e fusti di vino erano tenuti dritti da una fila di casse e botti di varie dimensioni, mentre una mezza dozzina di sacchi di tela riposava sopra un grosso forziere di legno. Un nero corvaccio scrutava divertito dalla sua gabbia di metallo l’andirivieni del viaggiatore, mentre gli altri due passeggeri attendevano pazientemente sulle panche di legno dell’anticamera.

A sinistra vi era un giovane dall’aria stanca, le cui inquietanti iridi rosse erano solo uno dei tanti enigmi che portava con sé; dalle armi che lo attendevano poco distante si poteva dedurre fosse un combattente, e la corazza di cuoio che indossava ostentava più di una riparazione di fortuna.

A destra vi era un quarto viaggiatore, infagottato nelle sue pelli che ricoprivano una lunga veste scura, la testa completamente sprofondata in un caldo cappuccio; dopo qualche malriuscito tentativo, il viandante aveva rinunciato ad accendere la sua pipa intarsiata, dedicando la sua attenzione ad un libercolo che aveva con sé, su cui ogni tanto riportava annotazioni con un tratto elegante e leggero.

Quando lo gnomo tornò al suo posto, appollaiandosi sullo scranno dietro la sproporzionata scrivania di quercia, Grinwald non potè fare a meno di sentirlo sospirare. Bichgittleb non detestava gli esseri umani, almeno fino a quando non persistevano troppo a lungo nella sua stazione di posta; quella notte quindi il suo umore non era dei migliori.

Finalmente, con un gran baccano accompagnato dal suono degli zoccoli ferrati e dal nitrito dei cavalli, la diligenza fece il suo ingresso nel cortile della stazione di posta. Il postiglione, Mitt, entrò insieme ad una gelida folata di vento, mostrandosi di lì a poco molto sorpreso nel constatare che ben quattro passeggeri si sarebbero uniti a lui sul Sentiero dei Dannati.

Invero, c’era anche un quinto passeggero: un uomo glabro non più giovane, la cui scarsella era evidentemente troppo vuota per garantirsi un posto privilegiato sulle carrozze del Cigno Nero. Mitt si affrettò ad invitare il canuto viandante a cercare un’altra sistemazione: lo spazio all’interno della diligenza era infatti a malapena sufficiente per i quattro viaggiatori.

Quando il sole finalmente sorse sulle imbiancate colline di Cheemon, la carrozza stava ancora percorrendo la Strada del Duca dalla notte precedente; i viandanti quindi, forse per spezzare la monotonia del viaggio,  cominciarono a conversare; eppure pochi avrebbero potuto immaginare che un così eterogeneo gruppo di passeggeri avesse qualche argomento in comune.

Marchesa, raffinata e giovane nobildonna di Varetta, sedeva al fianco di Bell, un combattente dal viso sgradevole su cui erano incastonati occhi dall’iride rossa come il sangue; innanzi a quest’ultimo, quasi come davanti ad uno specchio che invertiva le proprietà di chi vi si trovava riflesso, sedeva l’affascinante Grinwald, un armigero dal viso regolare, capelli biondi e penetranti occhi azzurri; per ultimo sedeva composto Dorian, ancora avvolto nelle sue pelli: il giovane aveva rinunciato a malincuore alla pipa per non scontentare l’olfatto sensibile di Marchesa, ma era pronto a ricompensarla con una gran quantità di stizziti commenti per quello che considerava un grave sacrificio.

Eppure i quattro passeggeri scoprirono, chi con più sorpresa di altri, di essere tutti legati da una qualche parentela, seppur lontana che fosse; e che tutti avevano ricevuto lo stesso invito, firmato dalla mano di Lord Raphael e sigillato con la cera impressa dall’emblema di Lairenne. La rivelazione impensierì tutti i passeggeri in diversa misura, ma infine ognuno di essi si risolse a tenere per sé le proprie considerazioni, in attesa dell’arrivo al lontano feudo del nobile casato.

Durante la prima sosta nella tarda mattinata, nell’apprendere che il quinto passeggero aveva trascorso quella notte infernale insieme ai bagagli sul tetto della carrozza, Bell gli offrì il proprio posto all’interno dell’abitacolo per la successiva parte del tragitto; una scelta che, per sua stessa ammissione, avrebbe rimpianto non poco. Tuttavia il suo gesto scaldò il cuore (e le membra) dello squattrinato viaggiatore a tal punto che egli si presentò di buona grazia: il suo nome era Rogar, un penitente, in viaggio verso il feudo di Lairenne.

Rogar aveva ricevuto a suo dire la richiesta d’aiuto di una sua vecchia amica, Elinor, donna che, per usare le sue parole, “non era solita perdersi d’animo”. Quale aiuto potesse darle quest’uomo non più giovane, il cui braccio destro pendeva rigido e immobile sul fianco, nessuno dei viaggiatori avrebbe saputo dire; tuttavia i viandanti preferirono non farlo notare, certamente per non urtare la sensibilità del disgraziato vegliardo.

Al termine del primo giorno di viaggio, Bell dovette convenire che il suo nobile gesto aveva richiesto un prezzo decisamente troppo alto. La neve e il vento avevano flagellato la diligenza per tutto il tragitto, e sebbene avesse cercato di imbacuccarsi il più possibile era chiaro che non si era preparato abbastanza per quel gelo implacabile. Arrivato alla successiva stazione di posta le sue condizioni apparvero tutt’altro che buone e nessuno si stupì nel vederlo riprendere il suo posto all’interno della carrozza il giorno successivo.

Molto spesso uomini dotti e saggi imparano dagli errori di coloro che li hanno preceduti, ma Grinwald era di tutt’altra pasta: il suo cuore non poteva tollerare il pensiero che il povero e vecchio viandante rimanesse esposto agli elementi, quindi decise di offrirgli il proprio posto, così come aveva fatto Bell il giorno prima.

Nel terzo giorno di viaggio il concerto di starnuti e colpi di tosse all’interno della diligenza era tale che né Dorian né Marchesa presero minimamente in considerazione l’idea di cedere il proprio confortevole seggio a Rogar durante l’ultimo giorno di cammino. Durante la sosta successiva però furono non pochi a notare che il viandante, che pure non poteva disporre di indumenti adeguati a quel clima sì privo di misericordia, non mostrava alcun segno di malattia o febbre.

Finalmente la carrozza imboccò il Sentiero dei Dannati. Mitt aveva dichiarato di aver percorso quella strada molte volte, ed era certo che il viaggio sarebbe andato bene anche in quella occasione; del resto le carovane dei mercanti che non potevano disporre di quattro veloci corsieri come la corporazione del Cigno Nero erano state costrette a viaggiare anche di notte, momento in cui si riteneva fossero avvenute tutte le aggressioni per mano di creature mostruose.

Molte ore più tardi il sole si apprestava a nascondersi oltre le cime dei Monti dei Giganti, e mentre Marchesa osservava distrattamente il monotono paesaggio offerto dalla foresta di Evrel attraverso i vetri appena smerigliati, d’improvviso il mondo si capovolse: con uno schianto terrificante la carrozza si inclinò violentemente sul lato destro, sbalzando gli occupanti gli uni sugli altri. Il grido di dolore di Mitt si levò alto sopra il rumore di legna spezzate e vetri frantumati e per qualche minuto fu il più completo caos. Il giogo infine si ruppe, e mentre i cavalli fuggivano terrorizzati lungo la strada, la carrozza arrestò la sua corsa sul ciglio di uno scosceso dirupo.

Una volta emersi, miracolosamente incolumi, da ciò che restava della carrozza, i quattro viaggiatori raccolsero quel poco che si era salvato del loro bagaglio e si fermarono per decidere il da farsi. Non vi era alcuna traccia del postiglione o del vecchio viaggiatore, il cui fato era stato probabilmente sigillato alcune decine di metri più in basso, oltre il ciglio del precipizio; inoltre, restare nei pressi della diligenza avrebbe costretto i viandanti a trascorrere la notte sul Sentiero dei Dannati, ed anche se essi non sapevano ancora quanto credito dare alle voci delle creature che si nascondevano all’ombra dei pini-soldato, nessuno di loro desiderava ardentemente approfondire la questione.

Dopo una breve consultazione, i quattro viaggiatori decisero di mettersi in marcia sul sentiero: Tullvéch non poteva essere troppo lontana e avrebbe offerto loro riparo e calore. Mentre muovevano i propri passi sulla neve tuttavia, nessuno dei viandanti poté far a meno di pensare a quell’estesa macchia di sangue coagulato che ricopriva, come un macabro disegno, la cassetta occupata pochi minuti prima da Mitt.