Senza fine

Il secolo era vicino al termine e le genti di Ursathra guardavano con sempre maggiore preoccupazione il cielo stellato. Poiché il trono era deserto e i nobili nati lasciavano le proprie terre per recarsi a Draskìr, così come la imponeva la legge del Re.

Gli Gnoll si avventarono sugli avventurieri con la forza di un maglio, ed essi ricorsero a tutte le proprie energie per respingere quella contorta massa di artigli, zanne e lame che sembrava desiderare oltre ogni altra cosa la loro vita.

Fu allora che il condottiero esortò i suoi compagni a combattere con disperata determinazione quella che sembrava essere la loro ultima battaglia. Tra stoccate e parate la compagnia intera perse la cognizione del tempo, e la battaglia sembrava semplicemente destinata a durare in eterno. Tuttavia il numero degli avversari si assottigliò inesorabilmente, fino a quando i cadaveri di due dozzine di Gnoll ricoprirono riversi il suolo della buia caverna.

Martin, le lame lorde di sangue, esortò i compagni a precipitarsi via da quel luogo, poiché altri uomini iena sarebbero certamente giunti di lì a poco. Gli avventurieri si tuffarono nel buio cunicolo sotterraneo, mentre uno di essi arrestava il suo incedere, preparandosi a coprir loro le spalle.

John udì d’un tratto un grido d’aiuto, e guidò i suoi compagni alla fonte di quell’inatteso richiamo. In una sala quadrata, certamente non edificata dagli artigli delle malebestie, una dozzina di uomini erano tenuti prigionieri. Si trattava dei soldati sfuggiti al massacro compiuto dal Drago nella piana di Ebron, e tra essi non senza stupore, gli avventurieri ebbero modo di scorgere Palmir.

Non vi era tempo per i convenevoli tuttavia e Martin, con invidiabile colpo d’occhio, notò una botola all’apparenza irraggiungibile sul soffitto. Con poco sforzo, John issò il nobile di Ravendish in modo che potesse scoperchiarla e arrampicarsi fino al polveroso piano superiore, una buia sala lastricata abbandonata da interi eoni. Bizzarre e contorte gargolle di pietra nera scrutavano il nobile nato, ma nessuna di esse prese vita, scongiurando i timori di Martin.

Dopo aver compiuto una breve esplorazione, Martin trovò una via d’uscita da quel tortuoso labirinto, e chiamò a sé i propri compagni e i soldati liberati, guidandoli fino all’accampamento nascosto ove Bartholomeus sorvegliava i cavalli.

Fu soltanto allora che gli avventurieri si accorsero che Turgon non li aveva seguiti; il mezz’elfo sapeva che gli Gnoll sarebbero accorsi da ogni parte per sbranare gli intrusi, e aveva preparato le lame di Crioss per un ultima battaglia senza quartiere, dando loro il tempo per fuggire.

Giunti all’accampamento, gli avventurieri si resero presto conto che non avrebbero potuto permanere a lungo. I soldati tuttavia non avevano altro che le proprie gambe per fuggire, e la notte avrebbe presto ammantato le terre settentrionali di Ursathra. Dopo un lungo conciliabolo, gli avventurieri decisero di opporre una tenace resistenza all’imminente attacco notturno, che sembrava inevitabile.

Mentre Brandano stava medicando i feriti e John cercava di scoprire qualcosa sul misterioso avvertimento di Bartholomeus, Galverna venne aggredito alle spalle da uno degli uomini iena. Tuttavia, la malabestia sembrava voler comunicare un messaggio, e Brandano si dispose ad ascoltarla. Martin intanto, era riuscito a portarsi quasi alle spalle dello Gnoll, e prima che la bestia dichiarasse le sue condizioni, intervenne in aiuto dello stregone; ma il caso non era dalla parte del nobiliuomo, e lo Gnoll nell’urto recise brutalmente la gola di Galaverna.

Lo scoppio delle ostilità durò pochi istanti. Brandano accorse insieme ad Egill verso il mago, tentando disperatamente di arrestare la mortale ferita; il creatore non deluse il suo sacerdote, e Libra era presente: il destino della torre di Ashkalt vacillò per pochi decisivi istanti, ma non rovinò come avrebbe potuto.

Tra ringhi e gorgogliamenti difficili da comprendere, la bestia infine favellò, e con somma sorpresa degli avventurieri offrì loro la Spada Nera che il gigantesco Troll aveva dato ordine di trovare. La situazione però era troppo insolita e nessuno intendeva fidarsi di quell’abbietta creatura. Fu così che essa rivelò il suo nome, ed i suoi veri intenti.

Il cuore di Palmir tremò a sentire il nome di Feste, il vecchio amico con il quale aveva condiviso tante avventure nel passato. Eppure, la creatura che aveva innanzi era davvero stata un uomo, il quale forse nella sua generosità, era giunto a sacrificare ciò che possedeva per arginare la spietata tenebra.

Feste aveva respinto l’esercito del Tessitenebra ai cancelli di Meridian, un’onta che mai gli sarebbe stata perdonata dalle crudeli creature delle terre di cenere; esse non si limitarono a catturare il nobile nato ma distorsero la sua carne con la magia nera, condannandolo ad un’esistenza abietta e inumana. Quando le armi furono abbassate, Feste raccontò di come Zul’Ark, il Troll a cui gli uomini iena ubbidivano, li avesse costretti a cercare tra i cadaveri della piana di Ebron la Spada Nera; ed egli, che conosceva bene Palmir, la trovò per primo e la celò alla vista, al di sotto delle radici di uno degli alberi più maestosi e antichi della foresta.

Quando chiesero notizie di Turgon, Feste scosse il capo: egli aveva permesso agli avventurieri di fuggire dal covo degli Gnoll, uccidendone dozzine con le sue armi, fino a quando Zul’Ark non era giunto sul campo di battaglia. Feste immaginava che il ramingo non sarebbe stato ucciso subito, poiché il Troll era astuto e lo avrebbe usato come esca per catturare tutti loro, se avessero tentato di salvarlo.

In silenzio, gli avventurieri si decisero a seguire Feste fino al nascondiglio che ospitava la Spada Nera, e fu così che giunsero al limitare della piana di Ebron, seppur senza vederla. Fu laggiù, circondati dai pini soldato e al cospetto dell’antica e solitaria quercia, che Feste consegnò loro Drachnost. Palmir tuttavia rifiutò di prenderla con sé.

L’impavido aveva già deciso che non avrebbe abbandonato Turgon tra le grinfie del Troll, tantomeno Feste in quel covo di uomini iena. Poiché Palmir si mostrava irremovibile, Brandano si decise a confessare entrambi prima che il gruppo si dividesse, e così, sotto gli sguardi tristi della compagnia, Feste e Palmir si avviarono verso il covo di Zul’Ark, stretti da un’amicizia che sembrava davvero senza fine.